lunedì 30 aprile 2012

Colloqui al nido

Tanto è stato scritto e detto sulle modalità di fare colloqui con i genitori ma la differenza tra la teoria e la realtà è spesso abissale.

Innanzitutto mi riferisco agli ambienti. Ho lavorato in diversi nidi e non ho mai avuto la fortuna di trovare spazi predisposti per colloqui con adulti ariosi e confortevoli come venivano descritti nei libri di pedagogia. Eppure sentirsi a proprio agio è fondamentale per creare una vera comunicazione! L’”arte di arrangiarsi” mi ha insegnato ad individuare un locale appartato, dove difficilmente si può essere disturbati: questo è il requisito fondamentale. Pulizia e ordine rendono carina anche una stanza funzionale e predisporre comode sedie per parlare guardandosi in faccia è consigliabile: tavoli o altri ostacoli visivi o corporei “allontanano” la relazione con l’altro.

L’altra cosa fondamentale è la diade educativa: un educatore deve condurre il colloquio, l’altro deve essere un osservatore partecipante, soprattutto a livello emotivo. Contenere ansie, emozioni e paure di un genitore è spesso doloroso per un singolo, ma condividere questo carico con un collega alleggerisce e cementa il gruppo di lavoro. In questo modo ci si può confrontare sulle informazioni ricevute e allo stesso tempo si dà un messaggio positivo alle famiglie: noi, il nido, lavoriamo per voi, il bambino e i suoi genitori.

In alcune strutture non è possibile garantire due educatori, per problemi organizzativi e gestionali. In questo caso, è di solito chi ha seguito l'ambientamento (o chi lo deve seguire) a condurre il colloquio. Qui diventa necessario un buon controllo della situazione e un distacco empatico che permetta di elaborare in situazione.

L’ultima cosa da curare è la modalità di conduzione del colloquio. Anche in questo caso trovo essenziale valutare la singola situazione: per comunicare o ricevere informazione dobbiamo mettere in atto strategie relazionali precise e non lasciare tutto al intuito del momento. Le tecniche del colloquio non direttivo rogersiane sono essenziali e altrettanto utile può essere la Programmazione Neuro Linguistica.

Prima dell'ambientamento, la situazione è quella della conoscenza: il nido si presenta alla famiglia e viceversa. In entrambe in casi è necessario raccogliere informazioni pratiche ed è il momento di porre le basi per un legame di fiducia. L'educatore ha il dovere di prendersi cura del carico emotivo delle mamme e dei papà. Durante l'anno educativo, i colloqui acquisiranno un tono diverso, più disteso per certi aspetti, ma di sicuro si toccheranno tasti più profondi, che permetteranno all'educatore di avere un quadro più completo del bimbo e alle famiglie di conoscere altri aspetti del proprio figlio. Sono questi i momenti di collaborazione per la progettazione di una continuità nido-casa.

Da qualche parte ho letto che “ascoltare affatica le orecchie” e mai considerazione fu più vera! Porsi in situazione di ascolto, in maniera aperta e accogliente, liberandosi da pregiudizi e opinioni personali, è un atto di estremo impegno: è proprio questo sforzo che sta alla base di ogni relazione sociale adeguata.

Se avete voglia di dare un'occhiata, questa presentazione in Power Point che ho trovato in rete potrebbe essere utile per curare meglio alcuni passaggi.

mercoledì 25 aprile 2012

Nessun uomo è un'isola

Nessun uomo è un'Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall'onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d'uomo mi diminuisce,
perchè io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te.


John Donne



In questo giorno di Liberazione  e Partecipazione penso sia utile rifletterci.

giovedì 12 aprile 2012

A cosa serve la pedagogia?

Facendo la fila alla segreteria studenti della Facoltà di Scienze della Formazione, ho occupato il mio tempo origliando discorsi delle vicine (lo so, è un difetto odioso).

Si parlava dei metodi poco ortodossi e personalistici di alcuni professori e fin qui non ci ho trovato niente di strano, in quanto alcune perplessità erano anche fondate. Il discorso è poi proseguito sull'inutilità della pedagogia, in quanto totalmente inapplicabile alla realtà e considerata un "discorso sul niente".

Ritengo queste considerazioni alquanto gravi per 2 motivazioni:

1. Innanzitutto la pedagogia DEVE essere calata nella realtà. Quei discorsi sterili letti e ripetuti nei manuali diventeranno un bagaglio sul quale fondare l'agire educativo quotidiano.

2. Mi meraviglio del fatto che nessun professore abbia saputo trasmettere l'amore per una disciplina così importante per il nostro lavoro.

Forse sbaglio, ma son discorsi che mi hanno lasciato amareggiata. Non si può fondare una professionalità sul caso e le università non dovrebbero esistere solo per rilasciare abilitazioni. Si dovrebbe formare.

Ma anche questo rientra nella pedagogia....




mercoledì 11 aprile 2012

Dina e il desiderio di diventare educatrice


"Prima a volte temevo i bambini, le loro reazioni, i loro rifiuti, le difficoltà nelle routines… adesso tutto questo è superato."

Salve mi chiamo Dina ed ho 32 anni. Ho appena trovato per caso questo blog e non avete idea di quanto sia stato per me utile leggere le parole di Cristina Costa.

In questo periodo, dopo essermi laureata lo scorso marzo come educatrice della prima infanzia (non perchè sono stata un decennio all'università ma perchè con coraggio ho deciso di rimettermi in gioco a 27 anni riprendendo gli studi) e avendo avuto difficoltà nel trovare lavoro (praticamente non se ne trova) ho deciso comunque di fare esperienza presso un asilo nido svolgendo tirocinio volontario.

Non appena ho messo piede a scuola mi sono immediatamente resa conto di quanto l'università ti lanci nel vuoto senza darti gli strumenti pratici per poter svolgere questo lavoro..solo teoria che ha la sua importanza ma che non trova riscontro se non solo attraverso la pratica.

Leggendo le parole di Cristina mi riconosco perfettamente nelle paure e nelle difficoltà che racconta, risalenti agli inizi della sua esperienza con i bambini. Oggi posso dire che ci sto mettendo la mia determinazione e buona volontà oltre al desiderio di voler lavorare con e per i bambini.

Le difficoltà sono tante e a volte mi chiedo se io sia in grado di fare questo delicatissimo lavoro...ma poi guardo quei sorrisi dei bambini quando mi chiamano, quando mi corrono incontro la mattina nel salutarmi, quando mi chiedono aiuto o di giocare con loro..e allora "forse sto dando qualcosa di bello a loro...ricompensandoli del tanto che mi stanno regalando".

Spero un giorno di poter realizzare questo mio sogno e di poter scrivere una lettera come quella di Cristina ripercorrendo il mio percorso e ripensando con un dolce sorriso a questi giorni che sto vivendo.

Buon lavoro a tutte le mie "colleghe"...amiamoli sempre questi bambini, gioia del presente e speranza del futuro 

Dina

Ho trovato le parole di Dina nella mia casella mail qualche tempo fa. Le ho pubblicate perchè sono le parole di tanti educatori che vorrebbero fare di più e hanno una determinazione invidiabile, ma il lavoro scarseggia e non è facile trovare un inquadramento adeguato.

Ringrazio Dina per la sua sincerità e le auguro davvero il meglio!

martedì 10 aprile 2012

Un'utopia chiamata nido


Quasi quotidianamente leggo notizie sulla privatizzazione di nidi in Italia. La nuova situazione del Paese non aiuta di certo i Comuni, che dispongono di fondi esigui per gestire una gran quantità di servizi per i cittadini. Il nido è uno dei più facilmente cedibili a privati: di solito sono le cooperative che si occupano del personale e dell’andamento dell’asilo, mentre il Comune cede la struttura e quanto ci sta dentro. E’un passaggio quasi indolore: le famiglie non dovrebbero nemmeno percepire il cambiamento di consegne, ma a mio parere dietro c’è di più.

C’è una mancanza di presa di posizione per la tutela non di un servizio qualunque ma di un’istituzione educativa, c’è il pensiero al lavoro delle mamme, all’esigenza di affidare i bambini a persone fidate, c’è l’urgenza di sistemare. L’educazione viene dopo.

Si perde il valore del servizio, la bellezza e l’importanza di investire sul futuro e questo mi fa star male perché credo in questa istituzione. Non mi piace chiamarlo semplicemente servizio, perché ritengo che un ente che si occupi di rendere autonomi e sereni bambini in una fascia di età così bassa non eroghi soltanto un servizio.

Sarebbe bello che le politiche comunali divenissero statali, che non esistessero diversità da zona a zona, da asilo a asilo, che ci fosse una rete reale in cui educatori di tutta Italia potessero comunicare e condividere esperienze realmente realizzabili.

Sarò un po’utopica, ma continuo a crederci.

venerdì 6 aprile 2012

Con un po'di gioia

Ho sempre vissuto la Pasqua e la primavera come momenti di rinascita: la natura si rinnova e si colora, la gente esce e va a fare passeggiate nei parchi, i giardini pubblici si riempiono di bambini ridenti e... non si può che essere felici!

Leggendo le notizie sui giornali degli ultimi giorni la voglia di sorridere però è poco. Questa rinascita sembra lontano, sembra che tutto rimanga nel grigio, nello sporco.

Ma ognuno di noi può fare la differenza e a noi educatori è data questa possibilità più che a altri: portiamo allegria nelle nostre scuole e vedrete che un pezzo di mondo sarà migliore!


Buona Pasqua 2012 a tutti voi e grazie per il vostro continuo sostegno e confronto di idee!

lunedì 2 aprile 2012

Togliere il pannolino? Si può!


Avere il pannolino significa avere un ingombro nei movimenti a tempo pieno, significa avere sempre bisogno di un adulto che ti cambi quando ti sporchi, significa sentirsi a disagio. Allo stesso tempo però è anche un vantaggio: non occorre distogliersi dal gioco quando si sente lo stimolo della pipì, essere cambiati prevede un contatto fisico con l’adulto che fa sentire coccolato.

Per il bambino riuscire a raggiungere il controllo degli sfinteri è una conquista di indipendenza inestimabile.
Non esiste un’età precisa arrivati alla quale scatta la voglia di usare il water: a mio parere, è meglio iniziare a tentare quando il bambino comincia a comunicare verbalmente i propri bisogni e quindi dai 18 mesi circa in avanti.

K. Amant, Anna impara ad usare il water, Clavis editore
Non esiste nemmeno una ricetta con la quale siamo sicuri di liberarci per sempre dal pannolino: ogni bambino ha la sua storia e le sue necessità. C’è chi passa direttamente al water dei grandi, c’è chi usa il vasino, c’è chi ha bisogno di indossare il pannolino solo in alcuni momenti.

Vero è che la stagione calda aiuta: gli indumenti sono più leggeri e facilmente lavabili e per i bimbi una doccia in più è solo un sollievo dall’afa estiva.

La cosa a mio parere più importante è l’osservazione prima e la determinazione poi. Riuscire a capire quando è il momento giusto per andare alla conquista del bagno dei grandi è fondamentale: è consigliabile non farlo a ridosso di altri cambiamenti (passaggio alla scuola infanzia, arrivo di un fratellino, abbandono dell’oggetto transizionale). Questa valutazione implica un grosso sforzo e una grossa obiettività da parte dell’adulto.

Quando poi si intraprende la nuova avventura, mantenere un atteggiamento sereno è altrettanto necessario: colpevolizzare il bambino, pretendere da lui che non si sporchi comporta una dose di frustrazione eccessiva da sopportare. In caso di defaillance però tornare indietro per comodità è altrettanto nocivo: i piccoli sono confusi da atteggiamenti ambivalenti e non continuativi.

Il cambiamento dovrebbe cominciare a casa e poi all'asilo si prosegue rendendolo un'esperienza condivisibile con gli altri compagni. Propongo sempre di accompagnare questo rito con una canzoncina (quella degli Angioletti che scesero dal cielo per fare la pipì diverte sempre) e la lettura di un libro a tema.