martedì 24 marzo 2015

Osservare per conoscere

Nel lavoro educativo, osservare è una delle azione imprescindibili alla pratica quotidiana: si osserva per capire, si osserva per conoscere, si osserva per contenere le emozioni dell'altro. In effetti ogni programmazione si fonda sull'attenta osservazione dai bambini a cui è indirizzata: nella pedagogia, niente rimane sul piano astratto.

Si osservano i momenti delle routine, le attività più o meno strutturate per comprenderne la validità, si osserva durante l'ambientamento il bambino e le reazioni che instaura durante i primi giorni al nido.

Le metodologie per osservare sono tante e altrettante sono le modalità di registrazione di ciò che si vede: negli anni di lavoro al nido, ho riempito griglia, risposto a domande aperte sullo sviluppo cognitivo e affettivo del bambino, trascritto colloqui con i genitori e quest'anno ho seguito un corso sull'osservazione partecipata.

Questo metodo ha le sue origini nella psicoanalisi freudiana e consiste nello stare in situazione, appuntando solo in un secondo momento quello che avviene e quello che si prova al riguardo.

Si contrappone nettamente alle tecniche più classiche, quelle dell'osservazione oggettiva, alla quale sono più abituata: in questo caso, non si deve cadere nel giudizio, si deve solo guardare da esterno, non entrando in relazione con i soggetti in questione e si trascrive sul momento. 

Ricordo chiaramente il consiglio di un formatore di non utilizzare aggettivi, sempre qualificanti e dunque portatori di valutazione. Quando riporto le osservazioni di questo tipo, continuo a fare molta attenzione al linguaggio che uso.

Comunque, tornando alla metodologia partecipata, devo dire che ha il pregio di non far perdere un educatore. Nell'organizzazione dei servizi, è sempre più difficile ritagliarsi dei tempi per fare osservazione diretta e dunque avere la possibilità di poterlo fare, continuando a svolgere il proprio lavoro, è sicuramente un punto a suo favore.

Mi sono trovata però in difficoltà nella stesura delle mie emozioni. Non che faticassi a capirle: penso che anche l'onestà di comprendere quello che si prova in ogni situazione e cercare di utilizzarlo con professionalità, faccia parte dell'essere educatore. Però scriverlo lo trovo un po'pericoloso, soprattutto in gruppi di lavoro non coesi.

Un'emozione implica un giudizio, positivo e negativo, nei confronti del bambino in questione, degli altri adulti, di se stesso. La condivisione in gruppo dunque diventa difficile se non è ben gestita da un coordinatore che abbia competenze al riguardo. Il piano delle emozioni non è oggettivabile ed è spesso lo scoglio sul quale si arenano i team educativi.

Ritornare sul versante professionale diventa dunque essenziale. Le emozioni non vanno celate e non vanno tenute per sè. Però nel caso delle osservazioni, penso che il fulcro sia il bambino e parlarne su un piano che vuole essere oggettivo (la neutralità completa non esisterà mai) aiuta a dare un quadro composto da diversi punti di vista. 

Parlare poi delle emozioni riguardo ai singoli episodi e casi, può essere utile a una maggiore comprensione, ma penso sia fondamentale ricordare che un educatore osserva la singola situazione per progettare un'azione educativa adeguata e non per analizzare il mondo psico- cognitivo del bambino.