mercoledì 20 novembre 2013

Le emozioni negative nello sviluppo di sè: "viverle" al nido

L'emozione che spesso il bambino vive al nido, in rapporto al "gruppo sociale" nel quale vive, è la "rabbia". Il sentimento della rabbia o dell' aggressività è principalmente la strategia o lo strumento principale che il bambino utilizza per risolvere il proprio disagio e comunicarlo nel momento in cui viene a trovarsi in una situazione per lui nuova o deve interagire con l'altro "da sè". D'accordo con Con i capricci si cresce?, ribadisco che le emozioni negative del bambino non hanno le caratteristiche di "aggressività adulta" e devono essere fatte vivere e sperimentate. In questo, l'adulto deve porsi in una prospettiva evolutiva dell'emozione, ossia creare un ambiente, proporre materiali, organizzare spazi e tempi che aiutino a reindirizzare positivamente le angosce e la rabbia dei bambini.

Ma che cosa significa ciò nella pratica quotidiana del nido d'infanzia?
Spazio sezione medi-grandi (13-36 mesi): lo spazio all'interno della sezione deve permettere ai bambini di scegliere l'angolo gioco che più li "contiene" nei diversi momenti della giornata. Quindi:
- un angolo per muoversi liberamente, con tappeto semi rigido (tappeto che offre stabilità e favorisce l'equilibrio), cubi motori di diversa misura e forma, teli e corde.
- un angolo che permetta il riposo o la dis-tensione del bambino con tappeto basso in moquette, cuscini, libri, peluche (un angolo che rassicura!).
- un angolo che offra al bambino la possibilità di sperimentare e sperimentarsi, anche nelle sue emozioni negative, attraverso il contatto con materiale naturale e quotidiano, appartenente al mondo dell'adulto.
- un angolo che permetta al bambino grande di "fare finta che".

Spazio sezione piccoli (3-12 mesi): lo spazio all'interno della sezione deve permettere al bimbo piccolo di accompagnarlo nella scoperta di sè e del mondo circostante. Quindi uno spazio con un tappetone rigido, cuscini, scalette e discese (cubi morbidi), pedane, cestino dei tesori, sbarra, specchio.
Giardino: la spazio esterno è davvero una risorsa inestimabile per i bambini. A contatto con la natura, attraverso la manipolazione e il con-tatto con ciò che la stagione ci offre, il bambino sperimenta e vive le sue emozioni ed angosce. Fantastico è per un bambino toccare l'erba bagnata, tuffarsi nelle foglie secche, travasare la terra, raccogliere margherite, creare "palle" di neve, rincorrersi, prendersi, nascondersi, ritrovarsi ...


Ma concettualmente parlando, quali sono le azioni del bambino che servono per "vivere" le sue emozioni?
A tal riguardo, prendo in considerazione l'approccio psicomotorio di Bernard Aucouturier, che afferma, in generale, che il gioco spontaneo è per il bambino la vera rappresentazione di sè e, attraverso la spontaneità del gioco, il bambino si rassicura. I giochi che il bambino spontaneamente fa e "vive" per simbolizzare le sue angosce, le sue paure, le sue emozioni, sono: equilibrio/disequilibrio , avvolgersi , dondolare , rotolare , arrampicarsi , cadere , spingere , tirare , correre , presenza/assenza , perduto/trovato , distruzione/costruzione , apparizione/scomparsa , riempire/svuotare , aprire/chiudere , ordine/disordine, fare finta di. E' importante che al nido d'infanzia il bambino possa sperimentare queste azioni di gioco in quanto gli permettono di veicolare positivamente le emozioni, anche quelle negative.

Concludo riportando un significativo pensiero di Bernard Aucouturier:
Il gioco libero e spontaneo permette al bambino di vivere la globalità della propria persona. 
Nel gioco si riuniscono SENSAZIONI, TONICITÀ, EMOZIONI, RAPPRESENTAZIONI MENTALI, FANTASMI, e la MOTRICITÀ

Lucia Vichi

sabato 16 novembre 2013

Latte materno: un corso di aggiornamento

Ho partecipato al corso di aggiornamento per educatrici di asilo nido “Il latte di mamma:al nido come a casa” organizzato dalla asl Milano 1.E’ stato molto formativo e interessante per poter valorizzare e sostenere il più possibile la pratica dell’allattamento al seno.

Allattare al seno è fonte di benefici a breve e lungo termine sia per la madre che per il figlio anche se molte volte l’allattamento è vissuto dalla madre come un momento di limitazione e perdita di ruolo sociale. Una corretta informazione può quindi aiutare la mamma a fare le giuste scelte. Oggi esistono e sono in via di espansione luoghi che permettono alla madre di fermarsi per nutrire il proprio bambino: i baby pit-stop. Si stanno diffondendo presso farmacie, ospedali, ambulatori, biblioteche, comuni e ora anche presso alcuni centri commerciali. Sono luoghi caldi e accoglienti dotati del comfort necessario per mettere a proprio agio la madre con il proprio bambino.



Il momento cruciale nella promozione dell’allattamento al seno è stato nel 1989 quando dalla collaborazione tra OMS e UNICEF è scaturita la dichiarazione “L’allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L’importanza del ruolo dei servizi per la maternità”. Si tratta di un decalogo per operatori sanitari finalizzato al’incoraggiamento della pratica dell’allattamento al seno la cui osservanza è il presupposto perché una struttura possa essere “Ospedale amico dei bambini”. Il percorso per diventare ospedale amico dei bambini richiede la conquista da parte di tutto il personale di una mentalità che pone al centro della propria attenzione la coppia mamma-bambino avendo alla base una formazione adeguata e il miglioramento delle routine assistenziali.

Ma vediamo più da vicino quali sono i “dieci passi per il successo dell’allattamento al seno”:
-definire un protocollo scritto per l’allattamento al seno da far conoscere a tutto il personale sanitario
-preparare tutto il personale sanitario per attuare compiutamente questo protocollo
-informare tutte le donne in gravidanza dei vantaggi e dei metodi di realizzazione dell’allattamento al seno
-aiutare le madri perché comincino ad allattare al seno già mezz’ora dopo il parto
-mostrare alle madri come allattare
-non somministrare ai neonati alimenti o liquidi diversi dal latte materno tranne che su precisa prescrizione medica
-sistemare il neonato nella stessa stanza della madre (rooming-in) in modo che trascorrano insieme tutto il tempo della permanenza in ospedale
-incoraggiare l’allattamento al seno a richiesta tutte le volte che il neonato sollecita nutrimento
-non dare tettarelle o succhiotti ai neonati durante il periodo dell’allattamento
-favorire la creazione di gruppi di sostegno alla pratica dell’allattamento al seno

Il personale sanitario e gli operatori occupano una posizione favorevole all’applicazione di questi principi che possono essere applicati dovunque vengano offerti servizi per la maternità e tra questi possiamo comprendere gli asili nido. Le educatrici sono quotidianamente in relazione con le mamme che affidano i bimbi ancora lattanti e quindi possono contribuire al mantenimento e alla diffusione dell’allattamento materno attraverso l’organizzazione al nido del servizio “latte di mamma”Il servizio “latte di mamma” prevede la possibilità per la mamma, attraverso alcune procedure segnalate dalla asl, di lasciare al nido il latte raccolto a casa in modo che le educatrici lo possano dare al bambino e non sia necessario sospendere l’allattamento nonostante la frequenza al nido.

Chiara Maria Candiani


venerdì 15 novembre 2013

Con i capricci si cresce?

Il capriccio non è un qualcosa di negativo, che fa paura e che bisogna cercare di fermare il prima possibile. Il capriccio è una protesta e sta all'adulto capirne le motivazioni per poi agire di conseguenza. Siamo ormai lontani dai modelli educativi autoritari, secondo i quali, imposto il divieto, il bimbo doveva obbedire senza piangere, senza rispondere, senza battere i piedi in terra: "così decidono i grandi". I modelli di oggi però non sono migliori e per non far soffrire il bambino, si evita il conflitto educativo, si concede, si lascia stare "altrimenti vedessi come piange". 

Il problema è la quantità: troppi no creano un clima di repressione; l'assenza di limiti è altrettanto deleteria, poichè il bambino diventa onnipotente, può fare quello che vuole e nel momento in cui gli viene negato qualcosa, è incapace di gestire l'ansia e la frustrazione. Il genitore ha un compito difficile: fa soffrire lasciare al nido il proprio bambino che piange, dispiace portarlo via dal negozio di giocattoli con il broncio senza comprargli un gioco che sarebbe costato pochi euro. Non agiamo assecondando le nostre emozioni e ragioniamo in maniera razionale: stiamo facendo qualcosa di utile per la sua crescita. Non è evitando la sofferenza che si educa il bambino a gestire le emozioni negative ed è proprio con la logica dell' "evitare", che svilupperà comportamenti inadeguati di fronte alla rabbia, alla gelosia, al conflitto. 

Avere dei limiti aiuta ad avere dei contenitori mentali, che rendono più tollerabili le situazioni di frustrazione. Al contrario, senza alcun divieto, si viene travolti dalle emozioni dolorose, senza riuscire a controllarle. L'esempio di Paolo Sarti, pediatra fiorentino e autore di molti libri a tema, come "Neonati maleducati" e "Facciamola finita", descrive molto bene i meccanismi che si innescano nel momento in cui l'adulto deve dare delle regole:

Di fronte ad un barattolo di Nutella un
genitore equilibrato farebbe assaggiare,
insegnando però a sapersi limitare, mangiandone
solo un po’, e subendo poi, senza
vacillare, le inevitabili proteste del bambino
che la vorrebbe finire tutta!
Ma il genitore di oggi “non ce la fa”, preferisce
nascondere la Nutella, prima che arrivi
il bambino: come potrebbe vederlo soffrire
quando arriverà il momento di dover
“chiudere il tappo”?
E’ questo il dramma: oggi si preferisce
nascondere il più a lungo possibile le
“nutelle” della vita ed evitare così ogni conflitto
con i figli ancora incapaci di dosarsi.

L'estratto è tratto dall'articolo Neonati maleducati scaricabile dal sito del pediatra. Ma anche il libro I no che aiutano a crescere di Asha Phillips parla delle stesse tematiche.

Educare i più piccoli a gestire le emozioni è importante per crescere adulti equilibrati e capaci di affrontare qualsiasi situazione la vita gli metta davanti. 


lunedì 11 novembre 2013

Benvenuta Chiara, un'educatrice tra esperienza e riflessione!

Eccomi, mi chiamo Chiara, ho 27 anni e abito in provincia di Milano. Mi sono laureata in scienze dell’educazione nel febbraio 2012 ma ho iniziato a lavorare nel campo dell’infanzia nel 2009. Il percorso non è stato semplice, dapprima ho fatto il tirocinio curriculare presso il reparto di Pediatria dell’Ospedale di Magenta (Mi) e poi tra vari co.co pro, contratti a progetto e stage, sei mesi fa sono stata assunta nel nido dove lavoro attualmente. Fare questo lavoro richiede una buona dose di passione mescolata alla pazienza e alla competenza. Non ci si improvvisa educatori, perché i bambini da 0 a 3 anni hanno esigenze e bisogni specifici. 


Nel nido presso il quale lavoro abbiamo una routine abbastanza rigida in quanto abbiamo 6 gruppi di bambini: 2 gruppi di lattanti, 2 gruppi di semi-divezzi e 2 gruppi di divezzi. Io ho un gruppo di divezzi, in modo particolare i bimbi 24-36 mesi. Il lavoro di questi primi mesi è improntato in modo particolare alla conoscenza tra me e i bimbi ma anche tra me e le famiglie. Troppo spesso si pensa che il lavoro è un semplice “accudimento” del bambino quando invece c’è anche un fondamentale lavoro con le famiglie che richiede impegno, empatia e tanta collaborazione. Il lavoro al nido è fatto di sorrisi e di pianti, di coccole, di abbracci, di autonomia che giorno per giorno cresce, di bimbi che iniziano a camminare e di altri che tolgono il pannolino, è fatto di prime parole, di canzoncine, di fatica ma anche di tanta soddisfazione.

Chiara è la seconda collaboratrice di Educhiamo! Come avete letto, nella sua presentazione è un'educatrice con esperienza pluriennale e ha un metodo di lavoro che punta molto sulla riflessione sulle pratiche educative. Dallo scambio di informazioni che ho avuto con lei, mi è parsa subito chiara la sua voglia di condividere il proprio vissuto di educatrice: sarà un piacere leggere le sue osservazione e i suoi racconti sulla sua quotidianità milanese. 

mercoledì 6 novembre 2013

Benvenuta Lucia, edublogger entusiasta del suo lavoro!

Conoscevo Lucia perchè da tempo seguo il suo blog sull'approccio pikleriano e mi è sempre sembrata una "che sa il fatto suo", con tante competenze e tanta voglia di fare. Mi è sempre parsa una che crede nel nostro lavoro. Ecco perchè sono stata molto contenta di leggere la sua mail, in cui mi comunicava la sua disponibilità a collaborare con Educhiamo! Prima di passare ai post più "seri", lascio la parola a lei, che vi racconterà le sue esperienze e i suoi metodi professionali: già dalla sua bio, si possono trarre tanti spunti di riflessione interessanti. 



Ciao a tutti!! Sono Lucia, educatrice d'infanzia, laureata nel corso di laurea specialistico in Progettazione e coordinamento dei servizi educativi e formativi presso l'Università degli studi di Urbino. Ho 31 anni e vivo a Pesaro.Ho iniziato la mia carriera lavorativa attraverso diversi stage formativi in alcuni nidi d'infanzia della zona e attraverso lavori estivi quali animatrice educativa presso i centri estivi della zona

Attualmente, lavoro da sette anni presso un nido d'infanzia che ospita bambini da 3 mesi a 3 anni, sito in Gradara. Il nido è una struttura che accoglie 31 bambini tra i quali 5 piccoli (3 mesi-12 mesi), mentre gli altri bambini medi-grandi sono suddivisi in due sezioni da tredici bambini, ciascuna con due educatrici (rapporto educatrice/bambino 1/7). E' un nido che lavora attraverso l'importanza della figura di riferimento durante il momento dell'ambientamento, per poi allargare il riferimento alle educatrici di sezione e al gruppo di lavoro, nel corso dell'anno educativo (sia per i bambini sia per le famiglie). Attraverso il percorso formativo svolto nell'arco di questi anni, in linea a ciò che è la mia storia emotiva personale e la mia personalità, ho scelto di avvicinarmi ad un approccio pedagogico basato sulla pedagogia attiva, in particolare alle riflessioni pedagogiche di Emmi Pikler, Elinor Goldshmied, Penny Ritscher e Bernard Aucouturier. Un limite che sento di avere e che, in futuro, vorrei allargare ulteriormente, è la non capacità di "vedere" tutta la storia che i bambini raccontano con il proprio corpo, con il movimento, con le azioni. E questo (me lo prefiggo come obiettivo futuro!) può essere ampliato attraverso la partecipazione ad un corso annuale sulla pratica psicomotoria educativa.


In generale, il lavoro con la prima infanzia richiede prima di tutto un lavoro su di sè, sulla propria storia personale, sulle proprie angosce e paure, perchè tanto spesso noi adulti agiamo sugli altri ciò che abbiamo irrisolto dentro di noi. E ciò non può avvenire se si tratta di bambini che stanno costruendo le basi della PROPRIA vita e del PROPRIO sè. La crescita non è a senso unico: nell'incontro con i bambini anche gli adulti possono crescere e ritrovare la parte più pura della personalitá. Solo la relazione con i bambini può aiutare l'adulto ha ritrovare il proprio sè e far cadere le maschere deformanti la realtá.


...Dietro una corda c'è la storia di sè...


La sezione nella quale lavoro...arredamento in legno, colori possibilmente tenui, cesti naturali, gioco euristico, limitazione dei giochi strutturati in plastica...


Gioco euristico proposto in bauletto



Cestino dei tesori in miniatura


Dove trovate Lucia on line:



lunedì 4 novembre 2013

Bambini in macchina

Oggi vorrei parlare di un argomento triste, che lascia un macigno sul petto, ma su cui è necessario riflettere, lasciando da parte giudizi e cercando di trovare una soluzione. Sempre più spesso, nelle notizie di cronaca, si legge di bambini abbandonati in auto, che dopo ore di agonia, muoiono per una stupida dimenticanza di un genitore. Proprio la persona che si dovrebbe occupare di lui, che lo dovrebbe curare, lo lascia in macchina, per andare a lavoro tranquillo. Non c'è intenzione.

La prima reazione di fronte a questi fatti è quella dell'incredulità: non è possibile che un adulto sano di mente possa dimenticare il proprio figlio. Certo, a tutti è capitato di lasciare una sciarpa all'attaccapanni di un bar o il cellulare sulla scrivania a lavoro...ma un bambino? La persona più importante della tua vita? No, non è proprio ammissibile.

Quest'estate al mare, mi è capitato per caso di leggere sul settimanale Vanity Fair un articolo di Gene Weingarten a riguardo. Si raccontava di questi fatti avvenuti negli Stati Uniti, dove tra i 15 e i 25 muoiono ogni anno nell'auto del proprio padre o della propria madre. Non si cadeva nel pietismo, ma anzi si raccontavano i fatti con dura imparzialità.

Miles Harrison ha dimenticato il proprio bambino Chase, un figlio voluto e andato a cercare in Russia: l'adozione era l'unico modo per lui e sua moglie, sterile, per diventare genitori. Harrison era un padre affettuoso e amorevole, ma quel giorno si è dimenticato di passare dall'asilo nido prima di andare a lavorare.

Lo stesso è accaduto a Lyn Belfour, madre di Bryce di soli 9 mesi. La donna, veterana dell'esercito, ha dovuto affrontare una notte insonne, occuparsi del figlio di un'amica, portare il marito a lavoro e poi recarsi in ufficio. Anche lei ha tralasciato di passare dal nido.

Gli psicologi lo definiscono il modello del formaggio svizzero: problemi su problemi si sovrappongono come fette di formaggi, ma i buchi rimangono aperti. Si parla di famiglie spezzate: i rapporti di coppia spesso saltano, le lungaggini processuali sono lunghe e dolorose, spesso si tenta il suicidio, perchè i sensi di colpa diventano un giudice inclemente.

Proprio per la frequenta incidenza di questi episodi, si è costituita l'organizzazione Kids and cars che affronta la tematica, estendendola a tutti i pericoli che le auto rappresentano per i più piccoli. Proprio la portavoce dell'associazione promuove l'uso di sensori antiabbandono, che dovrebbero essere commercializzati e magari montati nelle auto dalle stesse fabbriche che le producono. Di recente ho letto dell'esistenza di una app per smartphone, Infant Reminder con lo stesso utilizzo.

Weingarten scrive:

Non accettiamo di assomigliare a questi genitori: sarebbe troppo terrificante per noi. Quindi devono essere mostri.

Probabilmente, pensare che potrebbe succedere a chiunque, potrebbe fermare un fenomeno destinato negli ultimi anni ad un terrificante aumento.