martedì 28 gennaio 2014

Paolo Sarti: un modo di pensare all’infanzia fuori dal coro

Paolo Sarti è un pediatra molto amato a Firenze e allo stesso tempo molto temuto per i suoi metodi spicci. Se leggete i suoi libri, sarà lui stesso a confessarlo. Il figlio perfetto, Facciamola finita, Neonati maleducati:già i titoli sono di per sé forti ed emblematici. Alterna consigli pratici (sull’uso dei body, ad esempio) a riflessioni sulle dinamiche relazionali fino ad elargire consigli scientifico professionali, come in Crescere è un’arte dove spiega il percorso di sviluppo dei bambini.

E’molto stimato dagli educatori, perché molto attento alla situazione reale delle famiglie italiane e i suoi consigli non sono ricette preconfezionate, ma mirano a far pensare le mamme e i babbi a trovare la soluzione più giusta per la loro famiglia. Secondo lui viviamo nella società del Life is now¸dove si pensa solo al presente e si vuole tutto e subito. Ogni cosa è immediata e non si pensa al domani, in questo modo le responsabilità vengono delegate e abbandonate. Questo atteggiamento è molto rischioso perché non si pensa alle conseguenze che ci torneranno indietro domani. 

Lo stesso facciamo con i nostri bambini tutte le volte che diciamo “E’ancora piccolo, poverino!”. E’in quel “poverino” che si fonda un atteggiamento bambinocentrico mistificato e deleterio per l’intera famiglia. I genitori hanno il dovere di mettere dei paletti, dei limiti, entro i quali il bambino possa camminare da solo per la sua strada, aggrappandosi quando ha bisogno: se non trova quei paletti, rimane in balia di se stesso. Crescere significa avviare all’autonomia e dunque riuscire a sopportare le frustrazioni che il bambino dovrà affrontare, perché quello che oggi fa soffrire, domani diventerà un insegnamento. Trovate quelle poche regole che fanno per voi e fatele rispettare. 

E se il bambino piange e si sgomenta? Secondo il pediatra, se il bambino è molto piccolo, è fondamentale il contatto fisico, l’accoglienza del disagio, l’abbraccio; quando il bimbo è un po’più grande, è giusto lasciarlo piangere qualche minuto, ribadire la propria posizione e poi fare altro. L’adulto è in grado di capire che nel capriccio risiede un investimento emotivo eccessivo: se un bambino si indispettisce su come vestirsi la mattina o su cosa mangiare a colazione, è solo perché vuole rimandare l’uscita da casa e passare più tempo con i propri cari. Sta all’adulto riuscire a gestire la situazione, magari non mettendolo di fronte a una scelta (“Cosa ti vuoi mettere oggi?”?) e trovando un rito che lo aiuti a trovare un tempo tutto suo con la mamma o il papà (una canzoncina, una storia…).


Sarti ha fatto l’esempio delle Nutelle della vita. Ecco, tutti sappiamo che la Nutella fa male: come fare ad evitare che il nostro bambino la mangi? La prima tentazione sarebbe di eliminare la Nutella da casa nostra, ma il bambino la troverà a casa della nonna, dell’amico, alla festa di compleanno. Il genitore equilibrato fa assaggiare un cucchiaino di Nutella e poi la mette via, nonostante le proteste del bambino: in questo modo gli insegna come ci si comporterà in futuro. Sarti allarga il discorso appunto e il barattolo di Nutella diventa portatore di quelle cose brutte della vita da cui si vorrebbero allontanare i nostri figli: se non parleremo mai di sesso, quando sarà adolescente non saprà come gestirlo; se non accenderemo mai la televisione, gli precluderemo di vedere delle cose che non avrà mai possibilità di vedere; se non gli insegneremo come gestire la rabbia, tirerà fuori atteggiamenti aggressivi. Un pensiero che guarda al domani, per crescere adulti equilibrati, pensanti e forti. 

mercoledì 22 gennaio 2014

La paura: comprenderla ed affrontarla insieme

La paura è l’emozione più vecchia del genere umano; è un’emozione insostituibile nella vita di ogni individuo, non esiste essere umano privo di questo elemento.Avere paura di qualcosa significa vedere in essa un potenziale pericolo, un oggetto che in qualche modo ci disturba e ci turba. La paura è un’emozione che paralizza, che impedisce lo svolgimento delle normali attività, per questo si fatica anche a parlarne. I bambini, in quanto in fase di formazione e per questo con una personalità non definita, sono più contagiabili rispetto agli adulti. I bambini non si spaventano solo quando si trovano davanti al pericolo, ma anche quando percepiscono negli altri segnali di paura. Per cui basta vedere nell’adulto significativo segni di timore, di ansia e di paura per percepire anch’essi la medesima emozione. Alcune paure sono utili (come ad esempio la paura delle prese della corrente, degli incendi, del traffico..), altre invece non lo sono e vengono acquisite solo perché l’adulto le sta vivendo e le sta comunicando. La paura però non emerge solo in presenza di uno stimolo pericoloso, ma anche in assenza di una determinata realtà. Per cui un bambino che viene allontanato dal contesto familiare, privato quindi delle figure di riferimento, può sentirsi impaurito e ansioso. Il superamento dell’assenza dà più sicurezza al bambino, ma nel momento in cui la vive lo confonde. C’è da considerare anche una dimensione evolutiva della paura: esistono paure tipiche dell’infanzia, della fanciullezza, dell’adolescenza e anche dell’età matura e della vecchiaia. Per quanto riguarda i bambini nei primi cinque anni di vita, le situazioni che provocano reazioni allarmanti sono:

1) Tra i 3-4 mesi e i tre anni: i rumori forti, il dolore, l’accostarsi rapido di oggetti, l’altezza, l’isolamento e i bruschi cambiamenti di illuminazione,tutte paure che diminuiscono gradualmente nell’età successive. In questa prima esperienza di paura il bambino viene colto di sorpresa.
2) A partire dalla seconda metà del primo anno di vita e per tutto il secondo: inizia verso i due anni la paura di perdere l’amore ed essere punito, con il conseguente senso di colpa che può essere una minaccia più pericolosa della separazione in sé. Soprattutto verso il terzo anno, il bambino è molto sensibile a queste punizioni e ricoveri, che per lui significano privazione dell’amore e rifiuto di tutta la sua persona.
In questa età la paura dell’ignoto e della separazione sono frequenti, anche queste paure diminuiscono dopo i tre anni.
3) Intorno ai 20-24 mesi fino ai 5-8 anni: la paura per gli animali e per il buio sono più frequenti e raggiungono la punta massima verso gli otto anni. Gli studi sull’ontogenesi della paura nei bambini dimostrano che questa emozione non appare chiaramente se non dopo il primo anno di vita. Questi dati non possono essere definitivi, in quanto in età precoce è difficile distinguere il disagio dalla paura. Il bambino ricorda più a lungo le esperienze spiacevoli e l’immaginazione, che via via diventa sempre più ricca, può far nascere timori e ansie per qualcosa che hanno sentito nominare e discutere da altri, senza nemmeno conoscere l’oggetto in questione, acquisendo così la capacità anticipatoria di immaginare pericoli incombenti. E’ frequente nel bambino il processo di generalizzazione della paura, che si discosta dall’oggetto originario: ad esempio un bambino che si spaventa durante una visita medica, potrà estendere lo spavento a tutte le persone che indossano un camice bianco. Ad ogni età ognuno ha una particolare “disponibilità” alle paure. 
Verso i 6-11 anni alcune paure dell’infanzia vengono padroneggiate e superate e ne nascono altre, in relazione allo stato di maturazione cognitiva. Diminuiranno le paure per i rumori, le luci, il buio e aumenteranno ad esempio quelle dei danni fisici, come le amputazioni, le ferite. Anche nell’adolescente sono presenti delle paure, che spesso non si notano. L’adolescente teme la morte, il dolore, la sofferenza: paure che accompagnano l’uomo durante tutta la sua esistenza. Soprattutto in una fase così delicata come l’adolescenza, il ragazzo teme le ferite, le amputazioni; teme le esperienze che in qualche modo vanno a modificare provvisoriamente o definitivamente il suo corpo che è già in continuo cambiamento.

Arrivato al nido, il bambino dovrà subito affrontare una delle paure più grandi: quella della separazione dalle persone amate. L'angoscia da separazione si manifesta già fin da neonati. Nel momento in cui il neonato, essendo molto sensibile, percepisce un sentimento di insicurezza e di lontanza emotiva, percepisce un non ascolto, inizia a piangere, irrigidendo tutti i suoi arti. Il bambino, anche a livello motorio, si sente minacciato nella sua integrità e ha paura dell'abbandono. L'angoscia da separazione è una delle paure fondamentali dell'essere umano, una angoscia, che come sostiene Bernard Aucouturier, è inscritta incosciamente in ciascuno di noi, nel proprio corpo, nella propria tensione muscolare, nella propria sfera tonico-emotiva. L’angoscia da separazione nasce quindi dalla percezione, dal timore di essere abbandonato dalla mamma e, ritualmente, si esprime sempre con irrequietezza, irrigidimento del tono muscolare, difficoltà nell'addormentamento, difficoltà a giocare, pianti e urla disperati (ad esempio, semplicemente quando la mamma si allontana anche solo per raggiungere un’altra stanza). Nel prendersi cura di un bambino piccolo, è quindi, molto importante per attenuare questa paura che la mamma e il papà possano dedicare momenti esclusivi per il bambino, momenti accompagnati da carezze affettuose, sguardi di fiducia, tocchi, scambi di sussurri, abbracci, in modo tale da far sentire al bambino di essere amato. Inoltre anche cercare di mantenere la serenità, la lentezza e la distensione in situazioni improvvise, in situazioni di disagio, in situazioni che modificano il rituale del bambino durante la giornata è da non tralasciare. In tali casi, il bambino non deve percepire né che la mamma è spaventata dalle sue reazioni, né che si sente in qualche modo colpevole di quello che gli sta accadendo, né che è irritata o arrabbiata (anche se tutto ciò capisco non sia a volte facile!). Anche perchè l'ansia e la tensione del genitore induce lo stesso stato d'animo nel bambino, anche se le origini e la qualità della tensione risulteranno essere diverse, e così pure la sua espressione. Il bambino, infatti, tende a valutare un'azione (in questo caso, ad esempio un saluto dei genitori, un cambio di stanza della mamma, un papà che manca da casa per alcuni giorni per motivi di lavoro, una mancata risposta al suo pianto, .... ) e la sua "gravità" in base ai segnali di ansia e tensione che vengono manifestati (a volte inconsciamente, ma che il bambino percepisce!) dai genitori stessi: quando improvvisamente tali segnali li comunicano che vi è motivo di essere in tensione e di aver paura, il bambino risponde in maniera molto personale e in base ai propri strumenti. 

Molto spesso, capita che il bambino, rassicura da sè questa paura di essere abbandonato attraverso l'utilizzo di "oggetti transizionali" (Donald Winnicott): questi oggetti, che assumono forme diverse "di valore emotivo inestimabile" (quali, ad esempio, una copertina o un pezzo di stoffa o un peluche o la maglia di papà o toccare l'orecchio o accarezzare i capelli o toccare e strofinare le proprie mani alle mani dell'adulto ... ) rappresentano “la transizione, lo spostamento del bambino da uno stato di fusione e "tutt'uno" con la madre ad uno stato di relazione distaccata con la madre come qualcosa di esterno e separato” . Ossia, l'oggetto diventa emotivamente per il bambino il uno spazio illusorio di legame con la mamma che lo rassicura nelle situazioni dove si sente minacciato. Oggetto della quale lo stesso profumo è fondamentale! (Molto spesso infatti sono oggetti che i bambini non vogliono lavare!!). 

Il gioco spontaneo che il bambino utilizza per dare una forma ed evolvere questa paura è il gioco del cucù: quindi giocare e sperimentare la presenza/assenza, ma emotivamente sta a rappresentare la presenza/assenza della figura materna dentro di sè. Il gioco del cucù è un gioco che si può osservare già da neonati, quando il bambino che riesce a prendere un oggetto tra le mani lo tira e l'oggetto scompare. Ma poi ci sarà l'adulto che prenderà l'oggetto e lo farà ricomparire (è molto importante che l'oggetto ricompaia sempre: so che dopo un po' di volte che l'oggetto viene buttato a terra o comunque tirato l'adulto si stanca ma è una azione che crea tensione nel bambino in quanto il bambino non percepisce il ritorno, la presenza, il riapparire (ricordiamoci che il bambino sta elaborando la presenza/assenza della mamma!!)). Quindi le azioni gioco che più servono ad elaborare la paura dell'abbandono sono la presenza/assenza, scomparire/riapparire, dentro/fuori. Gioco del cucù, cofanetti o scatole delle stoffe, scatole del cucù.

Anche avere paura del buio è molto frequente nella fascia d’età dai 2 ai 6 anni ed insorge proprio quando il bambino si è abituato al mondo della luce e a riconoscere punti di riferimento intorno a sé. L’oscuro cancella tutta e fa perdere ogni sicurezza, semplicemente perché non si riesce a vedere, tutto sembra nascosto e irraggiungibile. Ecco perché risvegliarsi nel bel mezzo della notte può essere davvero spaventoso: un’ombra o un rumore diventano giganteschi e spaventosi nel silenzio nero. I 2 anni sono anche il periodo degli incubi e succede spesso che intorno a quest’età il bimbo si risvegli piangendo e urlando: una lucetta vicino al letto potrà rassicurarlo. Le paure prescolari (ad esempio, quella legata ai mostri, alle streghe o ai temporali) possono diventare il contenitore di altri timori, come quello di perdersi o di non riuscire a rivedere la mamma. E’solo dopo i 3 anni che i bambini, più attenti agli eventi quotidiani, possono riversare le loro frustrazioni sulle paure: ad esempio, un bambino che è stato brontolato dai genitori, può sublimare la sua aggressività in un sogno pauroso. 

In realtà, giocare con il buio può diventare un’attività molto divertente da fare al nido: si possono scoprire oggetti, oppure giocare con le torce, oppure fare merenda a lume di candela. Consiglio comunque di garantire sempre una semi-oscurità, per evitare passaggi troppo drastici. A volte, al nido, cantiamo anche la “Canzone delle streghe cattive” spengendo la luce e modulando la voce in maniera “paurosa”. Un'altra attività che può aiutare ad esorcizzare gli spaventi è ovviamente la lettura e sulla paura del buio, possono essere utili dei libri un po’speciali, come A luci spente (Mondadori) di Richard Fowler e Ombre (Franco Panini) di Armaud Roi: entrambi pop up permettono di realizzare dei giochi di ombre. Per i più bravi, sono sufficienti un telo bianco e tanta fantasia per creare un teatrino di ombre con le mani o con sagome di carta ritagliata: i bambini saranno affascinati dal mistero creato dalla situazione e saranno più fantasiosi di voi ad immaginare animali e oggetti rappresentati attraverso le vostre dita. Sull’argomento, la lettura di Giocare con le ombre (edizioni Junior) nella fase di programmazione può essere utile per pensare ad attività più organizzate per i più grandi o solo per documentarsi sull’argomento. Ci sono infine tante, tantissime attività da fare con il colore nero: dai teli di stoffa nella motricità alle attività grafico pittoriche. Sebbene la paura del buio sia molto frequente, il colore nero piace molto ai bambini: demarca, è forte e li aiuta meglio a definirsi e a lasciare una traccia di sé.

C. M. Candiani, L. Vichi, V. Ferri

venerdì 10 gennaio 2014

Bambini fotografi

Diverso tempo fa, camminando tra bancherelle pieni di libri usati mi cadde lo sguardo su un piccolo libricino blu, quadrato e con su scritto una scritta minimale: New York Maniago- Bambini fotografi. Gli autori, Franco Fontana e Frank Dituri, sono tutti e due fotografi abbastanza noti nel mondo dell'arte. Sfogliandolo belle foto di paesaggi urbani in bianco e nero, interni di case comuni e figure di persone sedute su vecchi divani. Il prezzo, 3 €, mi ha convinto ad acquistarlo.

In realtà non so se il libro (editore Motta Craf) sia ancora in commercio, ma il progetto che racconta è davvero singolare. Nel 1997 il CRAF, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, e il Learning through Art/The Guggenheim Museum Children's Program hanno stretto una collaborazione per mettere in atto due programmi di fotografia paralleli in due scuole primarie, una in Italia, a Maniago, e una negli USA, a New York. Nella prima si è recato il fotografo americano Dituri e nella seconda Fontana e per una settimana hanno lavorato con i bambini sulla realizzazione di scatti a tema urbano. Ogni lavoro è stato poi accompagnato da un'attenta descrizione per costituire un portfolio comune.


I bambini, oltre a acquisire qualche nozione di fotografia, hanno imparato ad allenarsi a guardare, a osservare, a carpire il dettaglio. Sono insegnamenti basilari, anche nella prospettiva dell'acquisizione di un punto di vista diverso di fronte a chi è altro da noi oppure semplicemente, di fronte alle difficoltà del quotidiano che pretendono un adattamento. I bambini ne hanno approfittato per uscire di casa, passeggiare, insieme al padre o alla madre. Hanno scoperto e riscoperto i posti dove vivono.

Qualche volta ho sentito raccontare di progetti fotografici più semplici indirizzati a bambini più piccoli, magari con uso di macchine fotografiche usa e getta. Una digitale un po'vecchiotta permetterebbe un facile utilizzo anche da parte dei più piccoli. Allestire una mostra di lavori oppure costruire un libretto a tema potrebbe essere un bel finale di progetto. La foto ha un valore molto più immediato rispetto all'immagine: ti mostra la realtà per come essa è. Con i bimbi del nido, è complicato realizzare reportage fotografici fatti da loro, ma con le foto che scattiamo noi potremmo pensare di creare qualcosa che vada al di là della documentazione e dei diari personali. Potremmo fotografarli nei diversi momenti della giornata e mettere insieme un albo di immagini sequenziali per ripetere insieme la giornata al nido. Potremmo anche ritrarli con facce di umori diversi: l'espressione arrabbiata, felice, triste...per fare un libretto sulle emozioni. Le opportunità sono tante e sicuramente calibrarle sui propri bambini è la scelta vincente: infondo il potere più grande di una foto è proprio quello emotivo affettivo.

giovedì 2 gennaio 2014

La sabbia: giochi al nido

La sabbia è un materiale unico nel suo genere: la sua consistenza e la sua adattibilità la rendono particolarmente adatta per i bambini da 0 a 3 anni. Le possibilità di offrire possibilità di gioco e attività con questo mezzo sono molteplici, ma un occhio di riguardo va sempre tenuto alla sua manutenzione. La sabbia va pulita e disinfettata ogni giorno, soprattutto quando si tratta di sabbiere dove i bambini entreranno interamente, per evitare il contagio da malattie più o meno fastidioso (da impetigine a dermatiti).

Le grandi vasche di sabbia, che troviamo spesso all'interno e in maniera particolare, all'esterno degli asili nido, sono indicate per attività a tutto tondo: i bambini possono immergersi con tutto il corpo oppure utilizzare palette e secchielli per attività di travaso fine. Si possono anche sostituire con grandi catini riempiti e gli oggetti che possono accompagnare i bimbi nei loro giochi possono essere molteplici: cucchiaini, setacci, mulinelli, foglie e rametti... tutto ciò che può stimolare la fantasia insomma!

Nel Nord Europa in quasi tutti i giardini pubblici possiamo trovarci una sabbiera, mentre nel nostro immaginario spesso l'uso della sabbia è legato all'estate, al mare e confinato in una di quelle faticose attività sporchevoli che prevedono una lunga preparazione, un altrettanto lunga sistemazione degli ambiente e un'accurata ripulitura dei bambini. La sabbia è in realtà un materiale, che, come l'acqua, ha poteri straordinari sui bambini: rilassa, stimola la creatività, favorisce sensazioni tattili, la si può manipolare e travasare, ci si possono nascondere mani e piedi che poi riappariranno dopo qualche istante.

Una sabbiera a forma di nave in Austria

La risorsa catartica della sabbia è stata studiata per la prima volta nell'ambito junghiano dalla svizzera Dora Kalff nella metà degli anni Cinquanta. Dopo aver partecipato a una conferenza sulle tecniche di Margaret Lowenfeld sull'uso di sabbia e acqua per realizzare una sorta di gioco mondo di tipo diagnostico, la Kalff inizia ad interessarsi del materiale per approfondire la conoscenza dei disturbi di cui erano affetti i ragazzi di cui si occupava. Ed ecco che viene elaborata la Scatola azzurra, un grande contenitore di legno del colore del cielo nel quale il bambino poteva giocare liberamente con sabbia e altri strumenti naturali, raccontando storie e ricreando situazioni.

Essendo una sorta di sabbiera concentrata, la tecnica è stata spesso riportata all'asilo nido, tralasciando il suo valore proiettivo e psicologico. Può essere un buon compromesso di sporchevolezza e dimenticandoci delle regole su dimensioni e oggetti da utilizzarvi dettate dalla Kalff, può esere ben calibrata su ogni gruppo sezione. La scatola azzurra dovrebbe essere abbastanza grande se si vogliono realizzare attività di gruppo (3-4 bambini) ed ovviamente più piccola, se invece si predilige un'azione individuale. All'interno la sabbia potrebbe essere sostituita dalla terra oppure si può introdurre un po'd'acqua per aumentare la plasticità. Si possono fornire solo materiali naturali (sassi, rametti, cortecce, conchiglie) oppure offrire pupazzetti, animali, casine e macchine per ricreare veri e propri scenari urbani. Si possono dare dei temi legati a racconti. Insomma... le opzioni sono davvero tante!

La scatola azzurra è comunque uno strumento didattico che permette di lavorare, oltre che sulla manipolazione, anche sul potenziamento dell'attenzione, sulla fantasia e sulle capacità linguistiche dei bambi, che riporteranno a parole quello che rappresenteranno. Inoltre può semplicemente essere un'occasione di divertimento con un materiale di gioco assolutamente unico nel suo genere.


Breve sitografia sull'argomento:
L'analisi con il gioco della sabbia, libro sul lavoro di Dora Kalff
La scatola azzurra, articolo di Paola Tonelli su Bambini