lunedì 30 gennaio 2012

Bimbirimbò: il magazine per tutta la famiglia



Conservare lo spirito
dell’infanzia dentro di sé
per tutta la vita vuol dire
conservare la
curiosità di conoscere
il piacere di capire
la voglia di comunicare

Bruno Munari

Qualche giorno fa nel gruppo Educhiamo! di Facebook è stato postato un post in cui si invitavano gli utenti a cliccare “mi piace” sulla pagina Bimbirimbò e a richiedere gratuitamente il numero zero della rivista dedicata alle famiglie. Spinta dalla mia proverbiale curiosità ho seguito le indicazioni e stamattina ho ricevuto per e-mail “il nuovo magazine” dedicato alle famiglie.

Sulla copertina rosa fucsia leggo subito la frase di Munari e mi soffermo a guardare una Pippi Calzelunghe con la bocca spalancata. E’proprio dal Mondo di Pippi, la manifestazione dedicata alle famiglie che si tiene a Gonzaga ogni anno, che è nata l’idea di una rivista rivolta a mamme, papà e bambini.
Gli argomenti affrontati sono i più vari: si raccontano le bellezze del Parco Sigurtà, ma si parla anche di pedagogia clinica; uno spazio è riservata alla “biografia” di una Cooperativa sociale e un articolo è dedicato agli eco-arredi. Il giornale termina ma se lo si volta svela una sorpresa…

Se si guarda dalla parte opposta infatti si apre il regno dei più piccoli: giochi enigmistici, disegni da colorare, filastrocche… Insomma la rivista è davvero rivolta a tutta la famiglia.
Dare uno sguardo non costa niente.

Segnalo la pagina Facebook del magazine:

L’indirizzo Internet del Mondo di Pippi:

Ed infine l’indirizzo mail a cui richiedere Bimbirimbò:
esprit@espritsrl.com

domenica 29 gennaio 2012

Scandali al nido


Ancora una volta negli ultimi giorni si leggono di bambini violati. Bambini picchiati e segnati per sempre. Bambini picchiati da adulti che dovrebbero proteggerli, che sono pagati per farlo, che hanno conseguito spesso un titolo di studio e superato una selezione per essere lì a difenderli e a favorire la loro crescita.

Ancora una volta sento parlare dei nidi come parcheggi dei bambini, come luoghi in cui l’importante è mangiare e rimettere a posto. Non si può piangere, non si può correre, non si può urlare. Ridere non è proibito, è solo impossibile farlo. E allora mi chiedo…. è davvero questa la realtà?

Da educatrice, da persona che lavora all’interno degli asili, che ha vissuto sia la realtà del pubblico e quella del privato, posso fortunatamente dire che non è così, o almeno, che la norma è un’altra. Il nido è davvero nato per favorire il lavoro femminile, ma quanta strada è stata fatta da allora! Quante ricerche, sperimentazioni! Quanti libri sono stati scritti, quante innovazioni sono state introdotte! Il fine principale del nido è quello di offrire a un bambino al di sotto dei 3 anni uno spazio tutto suo, dove poter conoscere, esplorare, socializzare, crescere in maniera libera e sicura.

Quella sicurezza tante volte viene penalizzata da tagli al bilancio e scelte gestionali: mi riferisco ai rapporti educatore/bambino più o meno rispettati, alla scelta di arredi più o meno stabili, agli orari di lavoro del personale, alla loro formazione. E’proprio in questi casi che la passione e la professionalità di tanti colleghi viene fuori per sopperire queste carenze, ma è una scelta di ogni singolo individuo. Ecco allora che ne viene fuori la forza del lavoro di gruppo: condividere il carico emotivo che ogni giorno viene fuori dall’interazione con i bimbi e i genitori alleggerisce e ridimensiona il personale riportandolo su un piano professionale.

E’innegabile che la situazione dei servizi per l’infanzia non è rosea e non sempre si riesce a reagire nel migliore dei modi: ansia e nervosismo possono prendere la meglio, la motivazione può venire a mancare. Il passo è breve: tutte le volte che si alza troppo la voce con un bambino gli si fa violenza. Il nostro è un lavoro delicato: un tono di voce più aspro, un gesto più brusco, una mancata attenzione fanno la differenza.

I giornalisti parlano sempre più spesso dell’introduzione di telecamere per vigilare il lavoro degli educatori, ma a mio parere non è una soluzione. Si tampona, si controlla, ma viene meno quel rapporto di fiducia che dovrebbe stare alla base del lavoro educativo e allo stesso tempo, come si mettono nei nidi, si dovrebbero mettere macchine anche in centri per gli anziani e disabili, in ospedale. Sarebbe un Grande Fratello.

Una maggiore formazione, il rispetto degli standard legislativi, un controllo più puntuale da parte degli organi preposti, un’omologazione della legislazione in materia, politiche di sostegno alla famiglia nucleare: queste sarebbero soluzioni.

Infondo anche risparmiare sull’infanzia è una violenza sul futuro.

venerdì 27 gennaio 2012

Ricordando Janus Korczak


I diritti dei bambini
  • Diritto alla morte
  • Diritto alla sua vita presente
  • Diritto a essere quello che è
  • Diritto a esprimere ciò che pensa
  • Diritto a prendere attivamente parte alle considerazioni e alle sentenze che lo riguardano
  • Diritto al rispetto
  • Rispetto per la sua ignoranza
  • Rispetto per la sua laboriosa ricerca della conoscenza
  • Rispetto per le sue sconfitte e le sue lacrime
  • Rispetto per la sua proprietà
  • Rispetto per i colpi che gli riserva il duro lavoro della crescita
  • Rispetto per ogni suo minuto che passa, perché morirà e non tornerà più e un minuto ferito comincerà a sanguinare.
  • Il bambino ha diritto di volere, di chiedere, di reclamare – ha il diritto di crescere e maturare e, giunto alla maturità, di dare i suoi frutti.


    Dite:
    è faticoso frequentare i bambini.
    Avete ragione.
    Poi aggiungete:
    perché bisogna mettersi
    al loro livello,
    abbassarsi, inclinarsi, curvarsi,
    farsi piccoli.
    Ora avete torto.
    Non è questo che più stanca.
    E’ piuttosto il fatto di essere
    obbligati ad innalzarsi
    fino all’altezza
    dei loro sentimenti.
    Tirarsi, allungarsi,
    alzarsi sulla
    punta dei piedi.
    Per non ferirli


    Janus Korczak era un medico, un poeta, ma soprattutto era un pedagogista, che con passione riconobbe competenze ai più piccoli. Con la stessa passione dirigeva la Casa dell'Orfano nel ghetto di Varsavia e non lasciò mai soli i suoi bambini. Nemmeno a Treblinka.

giovedì 26 gennaio 2012

Tuffiamoci nel mondo colorato di Eric Carle

I libri di Eric Carle tante volte non hanno bisogno di essere letti: le sue immagini parlano da sole. La contaminazione di colori e l’immediatezza del messaggio rendono ogni pagina delle piccole opere d’arte.

Il mio tradizionale scetticismo in un primo momento mi ha portato a non amare molto l’autore americano: non mi piacevano molto le sue storie con morali eco buoniste e proprio quelle figure mi sembravano di difficile decodifica per i bambini del nido. La pratica mi ha poi contraddetto: basta presentare ai bambini “Il piccolo bruco maisazio”, “Dalla testa ai piedi”, “Panda, panda, cosa vedi?” o uno degli altri libri di sua produzione per vedere l’interesse dimostrato dai più piccoli che entrano in quel mondo colorato in maniera personale e creativa. Dalla testa ai piedi rimane comunque il mio preferito: si riesce a leggere, memorizzare come una filastrocca, far rispondere i bambini e mimare tutti insieme le azioni descritte nelle figure e nel testo.

Le carte veline
Ed è vero che Eric Carle stimola la creatività. Patrizia Poggiali, educatrice di asilo nido da trent’anni, ha studiato la tecnica dello scrittore attraverso il sito ufficiale, nel quale ha trovato anche video che mostravano la realizzazione delle immagini. Il procedimento infatti è sviluppato in più fasi. Innanzitutto occorre dipingere con colori diversi della carta velina bianca dando libero sfogo alla fantasia: tracciare linee verdi con rulli su spugnature gialle, disegnare palle rosse fuoco e poi “grattarle” con spazzole o pettini, sgocciolare il pennello intriso di colore per realizzare un effetto pois multicolore. Quando poi sono asciutti serviranno per riempire le parti di un disegno precedentemente preparato. Tagliando e incollando dei piccoli pezzi di carta dipinta infatti, si realizza una sorta di mosaico dinamico e così si possono creare diverse tavole per dar vita a un libretto “alla Carle” (Eric Carle, tra l’altro, aveva ripreso questa tecnica dall’amico Leo Lionni, famosissimo autore di Piccolo giallo, piccolo blu). Patrizia l'ha fatto ottenendo un libricino calibrato sui bambini della sua sezione: passione per l'arte e competenze pedagogiche sono state le sue armi durante questo progetto.


Sole realizzato da me e da una collega  
Se il libro sembra un po'troppo ambizioso, possiamo fermarci alla singola tavola e creare dei quadri decorativi. Si può anche includere la collaborazione dei bambini per decorare le carte veline e i più grandi potrebbero tagliarle e incollarle a loro piacimento: in questo caso, però, la realizzazione di figure specifiche diventa superflua. Anche io ho voluto sperimentare questo metodo che si è rivelato un procedimento divertente e rilassante: dipingere le carte veline è liberatorio, tagliare e incollare focalizza l’attenzione e alla fine i risultati sono davvero soddisfacenti. 

lunedì 23 gennaio 2012

All’ ombra della luce

Il buio suscita nei bambini paura e timore in maniera quasi naturali: il buio avvolge e non mostra, rimane un luogo sconosciuto nel quale brancolare senza meta. Eppure il buio della notte culla i sogni più belli, fa riposare facendo calare quella coltre silenziosa che riscalda i pensieri e rischiare con l’ignoto ci rende più forti e più grandi. Farlo conoscere ai nostri bambini è quasi doveroso e al nido si potrebbero organizzare progetti mirati calibrati sul gruppo dei bambini che abbiamo  di fronte. 

Un primo passo potrebbe essere quello di lavorare con il nero, il colore del buio, che in realtà attira molto i più piccoli, avendo una tonalità così forte e accesa. E’normale che al di sotto dei 3 anni si scelgano le tinte scure per colorare a causa della loro valenza simbolica: affermarsi con un tratto nero risulta più incisivo di farlo con una linea gialla.

Le canzoncine delle streghe cantate a luci spente aiutano a rendere quel momento molto coinvolgente, ma per i più temerari si può anche progettare un gioco un po’più spericolato: luci spente, serrande abbassate e pile elettriche in mano. Se l’adulto accompagna in un primo momento i bambini alla scoperta dei giochi di luce che si possono realizzare con le torce, ben presto i movimenti saranno liberi ad accompagnati da grasse risate.

Si possono organizzare dei veri e propri teatrini con le ombre: infondo basta un lenzuolo bianco ed un faretto. E ovviamente una storia. I libri per bambini sul tema della notte, del buio e delle ombre sono tantissimi ma per quanto riguarda la drammatizzazione consiglio In una notte di temporale di Yuichi Kimura (Salani Editore), mentre per la lettura mi rifaccio al classico Nella notte buia di Bruno Munari (Corraini).

Non dimentichiamoci infine delle candele, valido alleato (se usato con cautela) per attività a luci spente o per pranzetti romantici.

Attività apparentemente banali si riveleranno avventure che cementeranno il gruppo e allo stesso tempo renderanno ogni singolo bimbo più sicuro di se stesso e delle proprie capacità. Allora, che aspettate? Tutti pronti alla scoperta del buio!

mercoledì 18 gennaio 2012

Pensieri di carta

Quando si considerano le attività espressive, spesso non si pensa al supporto di uno dei materiali più banali: la carta. Essa in tutta la sua semplicità diviene un mezzo comunicativo proprio per il suo potenziale in divenire: un pezzo di carta può diventare qualsiasi cosa. La carta si strappa, si sventola, si fa volare, si appallottola, si accarezza. Una striscia di carta colorata può diventare un copricapo alla indiana, un pezzo di carta ondulata può essere suonata grattandolo, attraverso la carta da imballaggio si vede un mondo a pois.

Per non parlare delle esperienze sensoriali: ci sono carte lisce, carte ruvide, carte morbide, carte dure, carte colorate, carte splendenti, carte fredde, carte fragili, carte resistenti. Ed infine penso al significato psicologico che un pezzo di carta può evocare: ci si sente protetti a rotolarsi e a nascondersi in un tappeto di carte di ogni tipo.


Offrire ai bambini un cestino pieno di pezzi di carta di ogni tipo può essere un buon modo per dare via a un’esplorazione che può divenire pian piano più strutturata; magari per poi terminare con la costruzione di un libretto- campionario. I bambini possono manipolare la carta liberamente, anche nella stanza della motricità; possono strapparlo o tagliarla; possono incollarla su dei fogli o su un grande cartellone unico per dare un compimento alla loro esperienza; si può lavorare sulla sensorialità creando pannelli o libricini tattili.

E’un’attività a tutto tondo che interessa i bambini di ogni età e che non implica particolari capacità. La carta è un materiale conosciuto, che non spaventa, e allo stesso tempo non è invasivo, non sporca. Riuscire a dare un valore diverso a un oggetto di uso comune prevede un esercizio di divergenza, cioè di vedere da un altro punto di vista. Abituiamo i nostri bambini a questo atteggiamento perché oltre a renderli più creativi e fantasiosi, farà loro sviluppare un’attitudine al problem solving più immediata e naturale.

lunedì 16 gennaio 2012

Sporcarsi è bello!

Sporcarsi va oltre alla macchia di colore che si vede su un vestito o su una mano. Sporcarsi è un'azione sovversiva, che rompe uno dei primi tabù inculcato ai bambini. I grandi dicono che bisogna mettere il bavaglio prima di mangiare, che si usa la forchetta altrimenti le mani si impiastricciano di pasta col pomodoro, che non si salta nelle pozzanghere, che non ci si rotola nei prati di erba appena tagliata.... Ma ad un certo punto, il bambino arriva al nido e l'educatrice lo invita a immergere le mane in un piatto di tempera colorata o addirittura di quella passata di pomodoro che la mamma aveva detto di non toccare. E adesso? Quanti bambini rimangono interdetti di fronte a quest'azione? Ovvio che all'indecisione concorra anche la paura per un materiale sconosciuto, ma è davvero tutto nuovo: la sensazione visiva e tattile di qualcosa che altera la pelle è qualcosa di straordinario!!Ritagliare degli spazi riservati alla libera espressione dei bambini è una valvola di sfogo, ma allo stesso tempo un laboratorio di esplorazione sensoriale e emozionale di valore inestimabile.

domenica 8 gennaio 2012

L’educatore ottimista

Tante volte l’ho sentito ripetere all’università: “Chi educa, deve essere un ottimista”. Altrettante volte non capivo fino infondo cosa volesse dire, anzi storcevo anche un po’il naso di fronte a questa affermazione, ritenendola portatrice di un atteggiamento un po’troppo ingenuo e superficiale. Bisogna essere ottimisti, mi dicevo: i bambini non si possono prendere in giro e se una cosa va male, c’è poco da ridere.

Stando a contatto con i più piccoli ogni giorno sono riuscita a fare mia quella frase che continuava a girarmi in testa e che adesso è diventata un punto fermo del mio lavoro quotidiano. Essere ottimisti non significa affatto sminuire le situazioni o semplificarle, significa valutarle in maniera realistica senza fermarsi ad una sterile critica.

A cosa serve focalizzarsi solo sui lati negativi di una situazione? Serve a farci ingrigire, serve a farci fermare con una medaglia in mano senza avere la voglia di girarla. Se invece troviamo la forza di girare quel pezzo di ferro ci accorgeremo che l’altra faccia ci mostra un disegno bellissimo. Un sorriso non risolve le cose ma sicuramente rafforza lo spirito per affrontare anche quel che di più negativo ci riserva il destino.

Trovare delle soluzioni, impegnarsi per raggiungere questi obiettivi, cercare di porsi di fronte ai problemi in maniera creativa: questo è quello che dovremmo trasmettere nel lavoro di tutti i giorni. Impariamo a guardare il mondo in multicolor, il bianco e nero è ormai superato.

Piacere, Educhiamo!

Educare è un verbo complicato, una parola composta, un’azione molteplice che richiede impegno, competenza e motivazione. Educare non è cosa facile. Significa cercare un tesoro senza una mappa e riuscire ad aprire il baule che lo contiene. Ecco perché condividere questa missione con una banda di avventurieri che lotta per lo stesso obiettivo diviene essenziale e stimolante: ognuno può dare un contributo con le personali capacità e fare insieme diventa sicuramente più divertente. La complessità è una sfida quotidiana che arricchisce questo mestiere e lo rende ancor più interessante. Niente è dato in assoluto, tutto deve essere calato nella situazione contingente e allo stesso tempo nulla può essere lasciato al caso. Quindi… chiunque sia interessato a far parte di una combriccola che vuole ripensare e migliorare il proprio agire educativo in maniera quotidiana si unisca a noi e il tesoro sarà nostro!